Quando si legge un libro, romanzo o saggio che sia, lo si fa per una serie infinita di ragioni. Interesse per l’argomento, sentito dire, semplice curiosità. Caso. Oppure anche, a volte, notorietà dell’autore e/o permanenza, nelle classifiche, dei suoi scritti, anche se non sempre quest’ultimo elemento è necessariamente indice di valore del volume: un libro, infatti, può essere nelle posizioni di vertice di uno o più degli innumerevoli elenchi redatto da vari soggetti (quotidiani, case editrici, associazioni di editori, ecc.) con poco merito. E viceversa può accadere che titoli esclusi meriterebbero invece molto più nelle vetrine che contano.
Cos’è allora che rende un libro davvero meritevole di essere letto? Al netto di ragioni oggettive, tra cui per esempio la bella scrittura, ce ne sono altre (e sono quelle che hanno gli effetti più profondi e duraturi sui lettori) di tipo soggettivo, cioè intimamente connesse alla sfera emotiva, culturale e anche spirituale di chi legge. Resta comunque il fatto, indiscutibile, che un libro ha veramente e pienamente successo se, anche a prescindere dai relativi dati di vendita, al termine della lettura ha lasciato qualcosa a chi ha trascorso del tempo immerso tra le sue pagine.
Tra questi, ad avviso di chi scrive, c’è l’ultimo libro dello scrittore svizzero Joel Dicker, autore di gialli e saghe familiari che hanno conquistato tantissimi lettori in tutto il mondo (tra essi Il caso Harry Quebert, dal quale è stata tratta anche una serie TV). Decisamente e sorprendentemente diverso dai precedenti, La catastrofica visita allo zoo (La Nave di Teseo, 2025) colpisce per la sua originalità. L’autore, infatti, scrive come se fosse una bambina, raccontando una serie di avventure ed episodi intrecciati tra loro non senza inserire interessanti spunti di riflessione su temi di enorme attualità come il significato della democrazia e della diversità, il valore dell’amicizia, il bullismo. Il tutto condito da una buona dose di ironia e da un linguaggio semplice e divertente, che rende il romanzo adatto ad ogni tipo di pubblico.
Dicker tra l’altro, in una “nota dell’autore” in forma di postfazione che è anche una specie di bilancio della sua carriera e dei diversi contesti ed abitudini in cui è maturata, propone alcune considerazioni sulla società attuale e sulla “schiavitù” da connessione a internet e social network: “A bordo di autobus, metropolitane, treni e aerei, le persone stavano con gli occhi fissi sugli schermi dei cellulari, avendo rinunciato al piacere della lettura durante i loro spostamenti”. Tale tendenza, aggiunge, non riguarda però solo la lettura, perché “questi schermi onnipresenti ci hanno fatto rinunciare a guardarci intorno, a socializzare e a informarci, per sprofondare sempre di più nelle nostre piccole cerchie protette, se non addirittura in noi stessi”. Ma, dice lo scrittore, c’è speranza, perché “malgrado questo mondo sempre più polarizzato e diviso a causa della nostra incapacità di staccare gli occhi dal telefonino per vivere meglio insieme”, alcune cose per fortuna persistono e resistono. Ovvero il piacere della lettura e dei legami che si creano tra appassionati di un libro o di un autore. “Eccolo il vero successo dei libri. Non dei miei in particolare, ma di tutti i libri. Riconciliare le persone, permettere loro di incontrarsi, di ritrovarsi. E’ questo – conclude Dicker – il vero potere della letteratura”.
A proposito di “potere” dei libri. Ce ne sono alcuni che, come una folata di vento violento ed improvviso in una giornata di primavera, riescono a creare scompiglio e a far discutere, non solo per la loro capacità di far conoscere vicende drammatiche, ma anche provocando reazioni scomposte in quanti invece vorrebbero dimenticarle. Rientra in questa categoria Uccidere un fascista di Giuseppe Culicchia (Mondadori, 2025), che racconta la storia di Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della Gioventù di Milano ucciso a colpi di chiave inglese sulla testa, nel 1975, da un commando di Avanguardia Operaia.
La molla che ha spinto l’autore a completare la sua trilogia sugli anni Settanta, dopo i due dedicati al cugino, il brigatista rosso Walter Alasia, con un libro su un ragazzo di idee opposte, è stata quella di non perdere la memoria di quanto accaduto (perché un Paese senza memoria, scrive citando Pasolini, è un Paese senza storia). Ecco allora che pagina dopo pagina, i lettori vengono trascinati in un viaggio all’indietro in un tempo buio di odio e violenza, in cui anche scrivere un tema di critica alle Brigate Rosse (come fece Sergio Ramelli) poteva costare la vita.
Culicchia, in un volume a metà tra il saggio e il romanzo, si accosta alla vicenda di Ramelli con estrema delicatezza e con uno stile narrativo del tutto particolare: l’autore, infatti, scrive rivolgendosi direttamente al giovane studente missino e ripercorre, senza fare sconti a nessuno, gli anni difficilissimi che hanno visto tanto sangue innocente sparso per le strade delle città italiane. L’importanza del suo lavoro emerge chiarissima quando in un’intervista dichiara: “oggi che l’Italia pare di nuovo spaccata in due, oggi che come allora l’avversario è un nemico e che in quanto tale viene spogliato della sua umanità, ho ritenuto di raccontare la storia di un ragazzo di diciotto anni che aveva idee diverse rispetto a quelle della maggior parte dei suoi coetanei e che per questo è stato ucciso”. Ed aggiunge, ancora con riferimento all’attualità: “Non sono pochi coloro i quali non vorrebbero più sentirne parlare e che pensano ancora oggi che i morti non sono tutti uguali e che certi vadano ricordati mentre altri sia opportuno rimuoverli. Ma il dolore provato da chi li ha amati quando erano in vita non è diverso, anche se c’è chi ritiene che non abbia diritto di cittadinanza”. Anche e soprattutto per questo Uccidere un fascista è un libro che tutti dovrebbero leggere. Perché solo con il rispetto dei morti, di tutti i morti, si potrà giungere finalmente ad una memoria condivisa, unica garante di una pacificazione nazionale che al momento, purtroppo sembra ancora lontana.
Dicker e Culicchia: storie che fanno riflettere e ricordare
- di Cristina Di Giorgi