Minneapolis. È il giorno di Natale del 1960. Bobby alloggia in una stanza in affitto, fredda e disadorna, non troppo distante dal campus dell’università. Fuori nevica. È solo. Disteso sul letto, con la chitarra a fianco, ripensa alla conversazione avuta il giorno prima con Bonnie Becher, la sua fidanzata. Bonnie gli ha detto di non poterlo ospitare per le feste natalizie, perché i suoi genitori non le hanno dato il permesso. C’è rimasto malissimo, ma il tempo della delusione è durato poco, sostituito da quello dell’attesa. Sì perché Bob ha deciso di partire.
Il 27 dicembre con la chitarra in spalla e una sola borsa da viaggio, confidando nella bontà del mondo, raggiunge la highway in cerca di un passaggio in autostop. Il primo automobilista a fermarsi somiglia all’attore Bela Lugosi e guida un veicolo vetusto, ma a Bobby non importa, vuole lasciarsi alle spalle Minneapolis prima possibile. Nelle settimane precedenti aveva informato genitori e amici di essere stufo del college e di volersi trasferire a New York per fare il cantante folk e incidere dischi con una delle tante case discografiche della Grande Mela.
Dopo una decina di ore di viaggio l’automobilista lo lascia a Chicago. La città sul lago è più fredda di Minneapolis. Bobby raggiunge il campus dell’università e cerca di fare amicizia. Un pomeriggio suona il piano nel dormitorio delle studentesse. Ha l’aria sperduta e una delle ragazze lo ospita nella sua stanza. Due settimane dopo lascia Chicago diretto a Madison nel Wisconsin. Bobby ha il numero di Ron Radosh, presidente di un gruppo di studenti di sinistra, ma il suo appartamento al 444 di Hawthorne Ct. è troppo piccolo e così lo manda dall’amico Danny Kalb. Questi lo ospita nella pensione dove alloggia per un paio di notti, poi la proprietaria lo butta fuori. Quella stessa sera, a una festa, Bobby conosce Ann Lauterbach, Jennifer Warren e i loro due fidanzati, Fred Underhill e Fritz DeBoer. I quattro, appassionati di folk, lo invitano nel loro appartamento al 430 W. Johnson St., dove resterà per una settimana. Bobby si sente fortunato perché i suoi nuovi amici sono di New York, la città dove vuole trasferirsi e, oltre alla passione per la musica folk, condividono quella per le canzoni di Pete Seeger.
Il dipartimento di storia americana dell’università di Madison è frequentato da molti studenti di sinistra. Tra questi Marshall Brickman ed Eric Weissberg hanno trasformato il loro appartamento nel punto di incontro dei ragazzi interessati alla musica folk. Una “casa aperta”, dove si suona e canta tutte le sere. Quando Bobby capita là esegue un pezzo blues al piano. Nel campus si esibisce ancora, cantando canzoni di Woody Guthrie, ma nessuno sembra colpito dalle performance. Non sfugge – invece – il suo abbigliamento stravagante: un completo marrone e una cravatta sottile. Durante il soggiorno a Medison, Ann Lauterbach, Jennifer Warren e Fred Underhill lo portano ad ascoltare un concerto di Pete Seeger. Sentire l’allora quarantenne suonatore di banjo eseguire le canzoni di Woody Guthrie riaccende il desiderio di Bobby di conoscere il suo idolo e, quando Fred Underhill gli offre un passaggio in automobile per New York, con l’impegno di darsi il cambio alla guida, accetta immediatamente.
Nel 1961 il Greenwich Village è ancora frequentato da musicisti, artisti e scrittori, soprattutto per i modesti affitti degli appartamentini attorno a Washington Square. Le numerose coffeehouses ospitano tutte le sere giovani talenti folk che si esibiscono quasi gratuitamente pubblico. Il 24 gennaio Bob entra al Cafe Wha? e – approfittando della serata a microfono aperto – suona per la prima volta nella Grande Mela.
Un paio di giorni dopo si reca sull’85th Street di Howard Beach. È l’indirizzo della famiglia Guthrie. Ci vivono Arlo, Joady e Nora, i tre figli di Woody avuti dalla sua seconda moglie. Suona il campanello e resta in attesa. Quando la porta si apre Bob si sente scrutato da una bambina di undici anni.
“Sto cercando Woody Guthrie” le dice.
“Oh, non è in casa” gli risponde la piccola e richiude la porta.
Bob suona di nuovo il campanello. La porta si riapre, ma questa volta la ragazzina sembra davvero scocciata.
“Cerco Woody Guthrie. Sono venuto fin da…”
“Mi dispiace non è in casa: mia madre è al lavoro e io non posso far entrare gli sconosciuti” gli spiega la piccola e richiude di nuovo.
Bob suona il campanello per la terza volta. La porta si riapre. Si trova di fronte una ragazza. È Anita, la baby-sitter. Anita è gentile. Gli dice che il signor Guthrie non vive più là e che la signora Guthrie non è in casa. Gli chiede se vuole lasciare un messaggio e un recapito, promettendogli di farlo avere alla signora. A quel punto Bob spiega ad Anita di non avere un recapito in città.
“Non so dove dormire”. In effetti da quando era arrivato a New York aveva dormito dove era capitato e persino all’addiaccio.
“Fallo entrare Anita.” È Arlo, all’epoca tredicenne, a convincere la baby-sitter.
Mentre il ragazzo lo porta nella sua stanza dove si mettono subito a suonare, Anita chiama la signora Guthrie per avvisarla della presenza dello sconosciuto. Bob lascia la casa solo dopo una mezz’ora, in seguito alle insistenze di Anita. Nel frattempo ha spiegato ad Arlo come suonare l’armonica aspirando, oltre che soffiando.
Woody Guthrie, il più importante cantante folk della musica statunitense, aveva divorziato dalla seconda moglie Marjorie dopo la diagnosi della “corea di Huntington”, una malattia genetica neurodegenerativa, e già da qualche anno era ricoverato al Veteran Administration Hospital, nel New Jersey.
Nel film A Complete Unknown di James Mangold, Bob Dylan incontra per la prima volta Woody Guthrie in ospedale, insieme a Pete Seeger. Si tratta di una “ricostruzione” semplificata e quindi non vera degli sceneggiatori del film.
Bob sapeva del ricovero e molti si sono chiesti perché non sia andato direttamente in a cercare il suo eroe. Non è facile rispondere a questa domanda. È probabile che volesse in qualche modo accreditarsi con la famiglia di Guthrie anche per non dare l’impressione di essere uno dei tanti che in quegli anni andavano a trovarlo.
Bob riesce a conoscere Woody domenica 29 gennaio 1961 a casa dei Gleason. I due vecchi amici di Woody, abitando a poca distanza dall’ospedale, la domenica lo vanno a prendere per fargli trascorrere la giornata fuori dal Veteran Administration Hospital. Prima di incontrarlo parla con Marjorie, che nonostante il divorzio continua ad occuparsi di ogni cosa. Bob fa una buona impressione sull’ex moglie di Woody e viene ammesso nella casa dei Gleason. In quell’occasione canta alcune canzoni di Guthrie e questi gli lascia un biglietto con su scritto: “Non sono ancora morto.”
“L’ho conosciuto” scriverà in una cartolina inviata ai Gleason il giorno dopo, “l’ho visto ed ho cantato per lui. Ho conosciuto Woody: Dio santo!”
Quella del 29 gennaio è la prima di altre visite.
“Mio padre non credeva possibile” ricorderà in seguito Nora Guthrie, “che le sue canzoni si tramandassero alle nuove generazioni. Gli piaceva da morire quando venivano a trovarlo i giovani, era come un bambino in un negozio di caramelle: rideva, si divertiva e gli brillavano gli occhi. Si vedeva proprio che era contento: non faceva che ridere e sorridere. Perciò la presenza di uno come Bob, che sapeva suonare tutte le canzoni scritte da mio padre, era un piacere.”
Qualche settimana dopo, una domenica a sera, di ritorno da una visita a Guthrie, Bob Dylan porta a termine Song to Woody.
Brindiamo ai cuori e alle mani degli uomini /Che arrivano con la polvere e se ne vanno col vento.
In alto: Particolare della copertina dell’album: 1961 & 1962: The years of living dangerously