La città e le sue mura incerte di Murakami Haruki.
La pima cosa da sapere a proposito di La città e le sue mura incerte è che Murakami Haruki non indica il nome del protagonista. In effetti, essendo un romanzo scritto in prima persona, il nome non è necessario. Ci troviamo così a leggere un flusso di emozioni, di resoconti diaristici, di sogni raccontati al risveglio, fusi con dialoghi e lettere dell’amata, come un ininterrotto monologo.
Il protagonista ha incontrato la donna ideale per lui in una fase acerba della vita: a sedici anni, mentre lei ne aveva quindici… o meglio è quello che gli è toccato in sorte. È un amore corrisposto, avvolto nell’incanto della giovinezza. I due si vedono tante volte, si tengono per mano, si baciano. La storia dura un anno. Lei gli scrive lunghe lettere. Nelle lettere descrive una città circondata da alte mura dove il tempo non scorre (l’unico orologio è senza lancette), dove le biblioteche non contengono libri, ma antichi sogni, dove gli abitanti vivono per lo più in alloggi collettivi. Le mura poi non sono mura qualsiasi, non sono costruite con normali mattoni. Si ergono con una propria volontà, sorretta da un’energia vitale autonoma.
«Voglio diventare tua. – gli aveva detto un giorno – Completamente tua in tutto e per tutto. Diventare una cosa sola con te, sul serio. Non devi avere fretta, però. Il mio cuore e il mio corpo sono distanti l’uno dall’altro. Si trovano in luoghi diversi. Quindi vorrei che tu aspettassi ancora un po’. Finché sarò pronta. Mi capisci? Sono tante le cose che richiedono tempo.»
Prima che la promessa possa avverarsi, accade l’impensabile. Gli incontri si diradano improvvisamente, fino a cessare del tutto. E giunge l’ultima lettera della ragazza.
«Insomma cosa sono io? È una questione grave. Come ti ho già detto, quella che hai conosciuto qui, è solo una controfigura di me, della mia vera persona. Solo un’ombra di me stessa… nel senso che è proprio la mia ombra. Ma un’ombra, staccata dal corpo cui è appaiata, non può vivere a lungo. Io ho ottenuto di vivere fino ad ora, ma è qualcosa di molto raro. Anomalo. Sono stata separata all’età di tre anni, gettata fuori dal muro della città, e allevata da genitori adottivi (…). Sono arrivata da quella città lontana, portata dal vento, ma sono soltanto l’ombra di un’altra persona.» Sì perché, quando si entra nella città, le ombre vengono staccate dai corpi e lasciate fuori le mura.
La lettera è un addio!
Quando la rivedrà – perché l’amore lo spingerà verso la città dalle alte mura – la guarderà negli occhi, come per cercare sul fondo di una fontana tra i monti, e si renderà conto che lei – pur essendo identica nell’aspetto alla quindicenne tanto amata – non è quella ragazza. Nella città dalle alte mura, raggiungibile attraversando l’incerto confine tra reale e onirico, quando la coscienza si manifesta nello stato crepuscolare, gli abitanti non sognano e non si innamorano. Il protagonista non ha più alcuna motivazione di restare là. Abbandona – seguendo in un gorgo onirico la sua ombra – la città dalle alte mura, o almeno crede di farlo. A Tokyo trova un impiego in una agenzia di distribuzione libraria, inizia svariate relazioni, ma non riesce più ad innamorarsi. Insomma vive un’esistenza ordinaria. Ormai quarantenne, decide di cercarsi un’altra occupazione. Vuole fare il bibliotecario. In una cittadina della prefettura di Fukushima è disponibile il posto di direttore di biblioteca. Dopo un colloquio con chi aveva svolto quella mansione prima di lui, ovvero il signor Koyasu, viene assunto. Il lavoro non è complesso, la biblioteca è piccola. La frequenta anche un giovane. Indossa solitamente una felpa con il disegno di un sottomarino giallo. Lo Yellow Submarine dei Beatles. Parla poco, anzi quasi per nulla, ma divora un libro dopo l’altro, senza particolari predilezioni per un genere letterario, o per uno specifico argomento. Legge di tutto e legge tutto. Dopo qualche tempo il giovane gli chiede il giorno, il mese e l’anno nel quale è nato. Il protagonista – sebbene meravigliato dalla domanda – glielo dice e quello, di rimando, lo informa immediatamente che è nato di mercoledì. Sorpreso dalla rapidità con la quale il giovane ha effettuato il calcolo, nel mentre racconta l’accaduto all’unica impiegata della biblioteca, gli torna in mente una filastrocca inglese: “Il bambino del lunedì ha una bella faccia, il bambino del martedì è pieno di grazia, il bambino del mercoledì è pieno di guai.” Inevitabile pensare a Demian di Hermann Hesse. Il “mercoledì” della filastrocca richiama il “marchio di Caino” del romanzo di Hesse. In entrambi i casi è il segno di un destino singolare, di un’incapacità congenita di integrarsi nel convenzionale.
Nella biblioteca appare talvolta il signor Koyasu. Il protagonista lo accoglie e conversa volentieri con lui. È un tipo eccentrico. Vive da solo. Ha perso il figlio. La moglie – travolta dal dolore – si è suicidata.
“Impossibile descrivere la tristezza dei genitori, misurare la profondità del loro dolore. Il bambino sul quale avevano riversato un amore senza limiti era scomparso all’improvviso, non lo avevano più con loro davanti i loro occhi.”
Il protagonista non tarda a scoprire la verità: Koyasu è morto. Anzi è deceduto prima che lui arrivasse alla biblioteca. Ma allora con chi ha parlato per ottenere il posto? E chi è l’entità che si presenta nel suo ufficio?
È uno spirito. «Lo spirito che ha perso il corpo, in breve tempo si dissolve – gli spiega Koyasu – .Quindi anche nel mondo dei defunti, dove ora mi trovo, sono sempre solo, come quando ero vivo. Mia moglie e mio figlio non li ho incontrati. E fra non molto anche questo mio spirito, trascorso il tempo necessario, sparirà, tornerà nel nulla. Lo spirito è soltanto una condizione transitoria, mentre il nulla è qualcosa di permanente. Anzi, dire “permanente” non basta, il nulla va ben oltre.»
Come l’ombra svanisce senza il corpo, così lo spirito svanisce senza le “ossa” tornando al nulla. L’universo rappresentato da Murakami Haruki sembra avere qualcosa in comune con l’ontologia della filosofia greca: la rappresentazione del mondo come una fluttuazione in grado di far emergere gli eventi e la vita stessa dal non essere; gli eventi permangono nell’esistenza, ma poi precipitano di nuovo nel nulla. Le ombre portate dal vento richiamano il mito della caverna di Platone e proprio Platone aveva definito la poìesis, la causa che fa passare qualsiasi cosa dal non essere all’essere, il processo attraverso cui qualcosa che non c’è può venire all’esistenza. Tuttavia l’esistenza è transitoria.
L’evocazione del nulla spaventa: l’idea della morte provoca angoscia. I greci – proprio pensando alla morte – si posero il problema di cosa ci fosse oltre il nulla, senza tuttavia trovare una risposta. Il signor Koyasu si limita ad ammettere: «Sono soltanto uno spirito privo di corpo, e non ho una particolare conoscenza riguardo alla morte.»
Poi però, quando arriva l’ora di accomiatarsi dal protagonista, perché il tempo concesso al suo spirito di apparire nel mondo sta per finire, il signor Koyasu – prima di dissolversi come fumo risucchiato nell’aria – dice: «Esiste un luogo destinato a me, e devo spostarmi lì. Quindi non so se avrò ancora occasione di rivederla. Presumo di no.» Un luogo, per quanto angusto possa essere, non è il nulla.
Alle fine il protagonista scoprirà perché è stata costruita la città dalle alte mura. Ma anche quali effetti abbia provocato nei suoi abitanti la potente magia che l’ha fondata, e farà la sua scelta.
Foto: Particolare della copertina dell’edizione italiana