Lo spettacolare al potere

Nel 1979, Guy Debord aveva esplicitato la visione di una trasformazione in atto: quella del mondo economico capitalistico in mondo spettacolare. “Lo spettacolo – egli nota – non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini, (…) il modello della vita socialmente dominante. È l’affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e il suo consumo ne è corollario”. L’essere degradato in avere si è tramutato in apparire. Egli aveva intuito che l’economia aveva predato l’estetica, provvedendo a imprimerne il segno, quello della “bellezza”, sui mezzi della produzione e della comunicazione. L’oggetto merce, che vale per la sua riproduzione in immagine desiderante, desidera essere posseduto dall’uomo, e non viceversa. Di qui la nascita del marchio come valore: non è più l’oggetto prezioso in sé, bensì la sua appartenenza a un brand, a un marchio capace di produrre merci desideranti, cioè creature che si fanno belle per sedurre. Un mondo a rovescio, in cui l’uomo diviene oggetto e non più soggetto del mercato, consumatore di un sistema che provvede a generare un nuovo tipo di umanità, quella oggetto di attenzione da parte dei marchi, dei brand. L’umanità viene divisa o raggruppata, secondo il target di appartenenza, in gruppi di consumatori aventi caratteristiche simili, appetibili. L’universo del capitale desidera la felicità globale, assume il piacere come fine e non come mezzo della produzione delle merci, propaggini e simulacri di bellezza che continuamente si rinnovano e splendono attraverso un corpo con un unico organo: il brand, ma che proiettano anche, contemporaneamente, sugli idoli, eidola, in simulacri umani, la felicità realizzata, sul corpo raggiante delle leggende del cinema, dell’industria, della politica. Ogni individuo appartiene allo spettacolare, è predatore e preda del sistema della felicità edonistica. Che cos’è un mondo cosiffatto se non il mondo dei balocchi, il mondo dei sogni realizzato in terra?

Esiste un’alternativa all’homo faber? L’uomo è quel che fa e solo secondariamente quello che pensa, immagina, ama?

Osserva a tal proposito Debord: “Nello spettacolo, immagine dell’economia dominante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole realizzarsi che solo in se stesso. Lo spettacolo sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è altro che l’economia sviluppantesi per se stessa. È il riflesso fedele della produzione delle cose e l’oggettivazione infedele dei produttori”.

La realtà spettacolare alla Stanza Ovale della Casa Bianca

A che cosa stiamo assistendo negli ultimi tempi se non a un’accelerazione del turbocapitalismo spettacolare? La sparizione della Realtà provoca, come un domino, la caduta di tutti i tabù. Sparisce l’identità, diviene liquida, transgender, aperta, virtuale. L’A.I. compie l’ultimo passo: la sparizione di ogni morale e di ogni rapporto tra causa ed effetto. Quel che è, è quel che viene manipolato. La rivisitazione del vero diventa il modo di intervenire sul reale per modificarlo a proprio modo, non importa se in modo plausibile, perché è comunque un pezzo dello spettacolo che interviene con la stessa forza del reale. La storia implode, diviene una forma dello spettacolo creato dall’I.A.: Trump Gaza, lo scontro tra Trump e Zelensky, che potrebbe benissimo essere stato inventato: beato chi ci crede! In una condizione di assenza o di azzeramento dello storico, la politica è sostituita dall’opinionismo, la rivolta popolare dal complottismo, forme in cui si manifesta lo spettacolo, il potere è un mezzo usato per generare mode effimere. E il soggetto? L’individuo? È ridotto a un’ombra, ovvero al narciso che si specchia nelle dinamiche della società dello spettacolo, il portato dei vari ambiti del marketing, risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci” di benjaminiana memoria. Un Io indebolito, dai risvolti aggressivi, in cui prevale “la visione rispetto all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui la restrizione dell’autonomia soggettiva si accompagna alla progressiva perdita del principio di realtà”.➊

L’apparato “culturale” e massmediale e informativo è velocissimo e giocato sulla soddisfazione del desiderio, le masse si rivolgono al sapere scientifico e tecnologico per la produzione di sempre nuovi oggetti del consumo. Lacan suppone che tale velocità include il consumarsi della macchina capitalistica stessa e il suo consumarsi annovera la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze, di anoressie e bulimie, dello shopping compulsivo, ecc.. Insomma, in una società del genere il Capitalista (il Padrone) immette (non tanto materialmente quanto ideologicamente) beni di consumo che non vanno a soddisfare la domanda, bensì tendono ad alimentarla compulsivamente. L’individuo infatti pensa che non esista per lui nessun padrone, nessuna radice, ma solo la libertà assoluta di godere. In verità, all’interno di questa pseudo libertà di azione in un mondo senza confini, il soggetto è schiavo dell’oggetto, e più che consumare diventa ciò che lo consuma, oggetto passivo della volontà di godimento dell’Altro del discorso del capitalista.

L’incontro tra Trump e Zelensky è uno spettacolo spaesante. Per quale motivo? Perché dopo un po’, consumato l’evento, torna ad essere irreale: una volta consumato non lascia più nessun segno sulla realtà, essendo spettacolo, e dunque pronto per essere usato e gettato, e dimenticato: c’è bisogno di un altro spettacolo. Ogni personaggio assume su di sé l’immaginario proiettato dai mass media, non a caso l’incontro è circondato da televisioni e giornalisti: gli spettatori. Non c’è niente di reale, è un gioco spettacolare a cui si assiste, e in cui ciascuno – il consumatore – può vederci quel che vuole, e cioè il proprio desiderio di consumo delle narrazioni in atto: una delle interpretazioni più diffuse dai mass media, è quella del buon padre che riprende il figlio scapestrato, che evidenzia una latente ideologia patriarcale insita nel consumismo (generatrice di una violenza diffusa esercitata sul più povero, ovvero su quello escluso dal consumo o dal consenso organizzato fondato sulla soddisfazione del desiderio). Tu che cosa vuoi? Io ti do la pace ma in cambio, per compiere il mio desiderio, dovrai offrire le “terre rare”. Sembra di assistere a un episodio biblico, in realtà siamo nella Casa Bianca e si sta giocando in televisione la vita di tanti, ma ciò che conta non sono i contenuti, bensì lo spettacolo.

➊ Pasquale Stanziale, Dell’immaginario col simbolico e il reale, 2014, p. 3.
➋ Cfr. Mauro Magatti, 2009.

Massimo Pamio, direttore del Museo della Lettera d’Amore e delle Edizioni Mondo Nuovo, poeta e saggista, si è interessato, di recente, di filosofia dell’arte in Sensibili alle forme. Che cos’è l’arte (2019), di archeologia neurocognitiva in Sentirsi sentire. Che cos’è il pensare (2020), di Gabriele D’Annunzio in tre studi, Le più belle poesie di Gabriele D’Annunzio e molto altro (2023), Chi era Gabriele d’Annunzio (2024, con Monica Ferri), Scritti dannunziani di Ramiro Ortiz (2024, con Riccardo La Rovere), di Francesco Paolo Michetti in Chi era Francesco Paolo Michetti (2024, con Monica Ferri) di Ennio Flaiano in Chi era Ennio Flaiano – Analisi dell’uomo e dei suoi segni e disegni (con Monica Ferri), ha curato Donne, uomini e burattini di Ugo Ojetti, e La mia vita di Benito Mussolini.

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