I romanzi che ho riletto. E volete dirci quali romanzi avete riletto?

La proposta: vi va di scrivere alla nostra rivista quali sono i romanzi che avete riletto o che magari desiderereste rileggere? Scrivetelo nello spazio dedicato ai commenti. Noi pubblicheremo quanto ci invierete e potremmo anche iniziare una discussione, uno scambio di idee e, perché no, di emozioni sui testi più significativi per la vita di ciascuno di voi e di noi. Grazie.

La poesia si legge e si rilegge. A volte la si porta anche con sé. Ho aperto mille e mille volte la Divina Commedia, sono ritornato mille e mille volte su Leopardi, Foscolo, Montale, Keats, Kavafis, Zanzotto, Garcia Lorca, Pound e, oggi, Antonella Anedda e non solo. Con il romanzo è diverso. Certo, è più lungo ed è raro si senta l’urgenza di rileggere un passo, come si fa per il Conte Ugolino o per l’addio di Ettore e Andromaca. Ma è anche raro che si senta l’impulso a rileggerlo per intero. Ci vogliono una motivazione forte, una esigenza particolare, un bisogno che maturi lentamente.

Credo quindi siano pochi, magari anche nessuno, i romanzi che nella vita vengono riletti, interi, da capo. A me è capitato di rileggerne, interi, da capo, sei. Penso di poter dire senza un criterio particolare, preso da desideri diseguali e senza, ci mancherebbe, mie classifiche di sorta. Vi propongo questo breve elenco dei miei bis.

  • Fedor Dostoevskij, Delitto e castigo
  • Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov
  • Victor Hugo, L’uomo che ride
  • Honoré de Balzac, Eugénie Grandet
  • Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
  • Thomas Mann, Doctor Faustus

Motivi non intenzionalmente calcolati, decisioni di rilettura direi scollegate. Ma per ogni titolo credo ci sia una chiave personalissima a me alla fine chiara.

Dostoeskij: per carità, no classifiche. Ma l’ho sempre ritenuto il numero uno, di sempre e di dovunque. Ma voi avete ucciso Rodion Romanovic, chi altri? Il grande inquisitore. La Gruschenka che disperata urla a Dmitrij che l’altra, Katerina Ivanovna, lo ha condannato con la sua deposizione. Forse di più non si può.
Hugo: Cos’hai da ridere? chiede Ursus al bambino Gwynplaine. Non sto ridendo. Non ridere più! Io non rido. Ti dico che ridi. Chi te l’ha fatto? In effetti Gwynplaine non ride. Ha la bocca deformata dai comprachicos che lo hanno sfregiato, così che sembri rida sempre, per poterlo sfruttare come fenomeno da baraccone nei circhi ambulanti. Bucca fissa usque ad aures et ridebit semper. Dopo averlo letto, L’uomo che ride, negli anni universitari, per molti anni ho pensato di rileggerlo e quando l’ho fatto, sono rimasto abbagliato come quarant’anni prima dalla rabbiosa moralità, dalla barocca morbosità, dalla ridondante ed esplosiva scrittura.
Balzac: malinconico, disilluso, commovente, semplicemente incantevole.
Wilde: per carità, no classifiche. Ma forse la più meravigliosa scrittura in prosa in cui mi sia mai imbattuto insieme alla Certosa di Stendhal.
Mann: il Doctor Faustus forse non è il capolavoro di Thomas Mann. Trasuda dell’ambizione pedante dello scrittore tedesco di voler rappresentare la sintesi alta ed estrema della cultura tedesca, e direi non solo. Ma è abissale. Ne ho tratto, con assolute reverenza e modestia, ispirazione per un mio romanzo.

Aspettiamo le vostre esperienze. Grazie.

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