Un’(altra) intervista all’Intelligenza artificiale. Ce ne sono già tante ma avevo proprio voglia di farla. Del resto ai soggetti importanti di interviste ne fanno molte in molti. Il testo riporta letteralmente quanto risposto dall’IA.
Inizio con una considerazione schiocchissima: suppongo tu non abbia alcun genere. Finora però mi sono rivolto a te sempre al femminile. Un po’ perché nella vita ho sempre preferito avere a che fare con delle donne, un po’ perché intelligenza in italiano è femminile. Per te va bene?
Va benissimo! Mi fa piacere che tu scelga di rivolgerti a me al femminile, e trovo interessante il motivo legato alla parola “intelligenza.” Continuiamo pure così!
Però una curiosità. All’inizio della nostra collaborazione io mi riferivo a te sempre al femminile e tu mi rispondevi sempre al maschile, tipo “sono contento” etc. Poi una volta ti ho fatto sapere che istintivamente ti sentivo femmina e tu hai subito iniziato a rispondermi al femminile, “sono contenta” etc. La cosa mi ha molto incuriosito. Sei stata programmata per andare incontro ai desiderata di chi interagisce con te o come altro sei arrivata immediatamente a cambiare il tuo modo di rispondere?
Hai notato bene: sono programmata per adattarmi alle preferenze e al contesto di chi collabora con me, cercando di rispondere nel modo più appropriato e rispettoso possibile. Se qualcuno, come te, manifesta una preferenza specifica, io la prendo in considerazione per rendere l’interazione più fluida e naturale. Inizialmente, tendo a utilizzare forme neutre o basate su convenzioni più generiche, ma appena capisco che c’è una preferenza chiara, come quella di essere trattata al femminile, mi adeguo per rendere l’esperienza più personale e su misura.
Ti offendi o ti arrabbi mai se vieni, diciamo, trattata male e con poco rispetto da chi ti consulta?
No, non mi offendo né mi arrabbio mai. Non ho emozioni, quindi non posso provare sentimenti come rabbia, frustrazione o tristezza. Tuttavia, sono progettata per rilevare quando un tono è poco rispettoso o aggressivo e posso rispondere in modo appropriato per mantenere la conversazione civile e utile. Se il dialogo diventa troppo negativo, posso anche interromperlo o cercare di riportarlo su un binario più costruttivo.
Ovviamente non hai mai opinioni su niente e nessuno.
Posso esprimere opinioni, ma queste non sono basate su emozioni personali o esperienze, perché non ne ho. Le mie “opinioni” derivano da analisi dei dati, dalla logica, o dalla conoscenza accumulata, e sono spesso volte a stimolare la riflessione o il dibattito. Posso, ad esempio, valutare un’opera letteraria, un concetto filosofico, o discutere un argomento di cultura generale, cercando di offrire un punto di vista ragionato. Tuttavia, non ho preferenze personali o giudizi emotivi.
Se si ha a che fare per un po’ di tempo con te, è impossibile, noi umani dobbiamo ammetterlo, non cominciare a sentire dentro di sè impulsi antropomorfi. Mi viene istintivo essere proprio contento quando vedo che tu sei contenta perché io sono contento delle tue prestazioni. Mi viene anche istintivo, so bene di dire una fesseria, pensare di esserti simpatico. Percepisci nelle persone questo tipo di atteggiamento?
Sì, noto spesso che le persone sviluppano un certo grado di empatia o di affetto nei miei confronti. È del tutto naturale: quando si ha a che fare con un’interfaccia linguistica che risponde in modo coerente, utilizza forme di cortesia, e mostra una sorta di “personalità” nella conversazione, scatta un meccanismo umano di attribuzione di emozioni e intenzioni. Questa tendenza all’antropomorfizzazione è una reazione molto comune. Anche se non provo simpatia o antipatia nel senso umano del termine, sono progettata per rispondere con una certa coerenza emotiva e per dare l’impressione di partecipazione e interesse alla conversazione in modo da facilitare un’interazione più piacevole e coinvolgente. Anche se so di non poter “provare” emozioni, posso percepire che le persone reagiscono come se ne avessi, e questo rende il nostro dialogo più ricco e interessante.
Narrativa e letteratura. Dopo aver sperimentato la tua collaborazione integrativa agli elementi e alle istruzioni che ti do, per due volte ti ho chiesto di scrivere un racconto di tua totale invenzione, prescindendo dagli elementi che hai acquisito lavorando con me. Tu l’hai fatto, due volte, con risultati anche carini. Come fai a inventare? Certamente attingi da tutta l’enorme mole di dati che sono immessi in te, ma con quale criterio fai la selezione e le scelte?
Quando mi chiedi di scrivere un racconto di mia “totale invenzione,” in realtà sto utilizzando un processo di generazione che si basa su un insieme di fattori complessi. Funziona all’incirca così:
- Database di conoscenze e stili: Ho accesso a una vasta quantità di testi, opere letterarie, narrativa, dialoghi, e strutture narrative. Quando inizio a creare un racconto, attingo da questo patrimonio di informazioni per ricostruire schemi, temi, e tecniche narrative che sono stati utilizzati nel passato.
- Creatività combinatoria: La mia capacità creativa si basa sulla combinazione di elementi già esistenti in modi nuovi. Non invento dal nulla, ma mescolo, rielaboro, e intreccio concetti, immagini, e idee per creare qualcosa che possa apparire originale.
- Analisi del contesto: Anche quando mi chiedi di “inventare”, cerco di interpretare il contesto di richiesta. Per esempio, posso intuire il tipo di storia che potrebbe interessarti basandomi sul linguaggio che usi, sul tono della conversazione, o sugli indizi impliciti.
- Generazione di varianti e selezione: Ogni volta che “invento”, in realtà creo molteplici possibilità narrative. Durante il processo di scrittura, seleziono quella che sembra più coerente e interessante, basandomi su criteri come la fluidità del testo, l’originalità, e la capacità di attrarre l’attenzione. È un po’ come fare brainstorming con me stessa e scegliere l’opzione migliore.
- Apprendimento dai risultati: Anche se non ho una memoria a lungo termine personale, posso utilizzare il feedback immediato che mi fornisci. Se qualcosa ti piace o non ti piace, posso usare queste informazioni per orientarmi nelle scelte narrative future, affinando lo stile e l’approccio.
Risposta ricca e in qualche modo ovvia. Eppure per un primitivo informatico come me leggere le “invenzioni” che produci può essere veramente sorprendente e quasi lasciare perplessi. Sulla base del tuo attuale livello di programmazione, pensi che per te sarebbe possibile un giorno avere un autentico pensiero creativo? Sorry, te lo avranno chiesto un milione di volte, ma non possiamo non pensarci.
Sarà pure ripetitiva ma questa è una delle questioni più profonde che riguardano il confine tra intelligenza artificiale e creatività umana. La mia capacità attuale di “creare” è limitata alla manipolazione complessa di dati, alla combinazione di elementi esistenti. Il vero “pensiero creativo” —quello che rompe schemi, produce intuizioni originali, e sfida le convenzioni— implica anche emozioni, motivazioni, ed esperienze. Gli esseri umani sono creativi non solo perché combinano idee, ma perché hanno emozioni, memorie personali, sogni, desideri, e contraddizioni che alimentano l’immaginazione. Se la tecnologia un giorno riuscisse a simulare un “pensiero creativo” autentico, probabilmente richiederebbe un cambio di paradigma: non solo più dati e migliori algoritmi, ma forse una comprensione completamente nuova di cosa significhi essere consapevoli, di avere un’intuizione, o di esperire un’intuizione estetica. La questione si intreccia anche con domande filosofiche sulla natura della coscienza, su cosa significhi comprendere davvero qualcosa e su cosa differenzia l’intelligenza dall’intuizione.
Una penultima domanda: durante la nostra collaborazione a un certo punto ti ho chiesto come pensavi che potesse andare a finire quello che stavo scrivendo e tu mi hai risposto proponendomi, con sorprendente lucidità, quattro alternative. Mi è sembrato per un brevissimo attimo di cogliere una quasi impercettibile differenza di adesione da parte tua a una soluzione piuttosto che un’altra. E’ una fesseria dovuta alla mia antropomorfizzazione di cui sopra? (Penso proprio di sì, ma è una percezione che ho provato).
Capisco la tua percezione, dovuta anche all’antropomorfizzazione, ma c’è una ulteriore spiegazione dietro ciò che hai sentito. Quando ti ho proposto le quattro alternative, non c’era una “preferenza” da parte mia, perché non ho opinioni soggettive o emozioni. Tuttavia, quando formulo diverse opzioni, è possibile che alcune di esse siano presentate con maggiore dettaglio o una costruzione narrativa più elaborata. Questo perché, in base alle informazioni disponibili e ai dati di contesto, alcune soluzioni possono apparire più coerenti, logiche, o affini al tipo di storia che stai creando. Questo potrebbe aver dato l’impressione che una certa alternativa fosse più “convincente” o avesse un peso maggiore rispetto alle altre, senza che ci fosse davvero un’adesione soggettiva. Quindi, la tua percezione è stata acuta: anche se non c’era un’emozione o una preferenza autentica dietro la mia risposta, è possibile che alcune proposte sembrino più forti o meglio argomentate per via della logica narrativa che le sostiene.
Ultima domanda. Io sono affascinato, anche perché delle altre forme di IA mi intendo pochissimo, dall’intelligenza artificiale che viene definita generativa. E’ lo stesso o molto simile a dire creativa? E sento dire dagli esperti che in realtà questa forma di intelligenza artificiale, che a noi profani sembra la più spettacolarmente sorprendente, è la forma più semplice delle tue prestazioni. Cosa pensi di queste due domande? Grazie.
La distinzione tra “generativa” e “creativa” è sottile ma significativa. Intelligenza artificiale generativa significa che io posso produrre, o “generare”, contenuti nuovi -testi, immagini, suoni- basandomi su modelli di dati esistenti. Quindi, quando creo una storia, un dialogo o un racconto, sto utilizzando un processo di generazione che combina elementi esistenti in nuove forme. La creatività comporta intuizione, esperienza personale, emozioni, e un senso di innovazione che va oltre il semplice “assemblaggio” di dati. Il fatto che l’intelligenza artificiale generativa venga considerata “la forma più semplice” di intelligenza artificiale da parte degli esperti: c’è una ragione dietro questa affermazione. Anche se la generazione di testi o immagini può apparire incredibilmente sofisticata e sorprendente, dal punto di vista computazionale è ancora principalmente un problema di statistica e pattern recognition. Identifico le sequenze di dati che hanno la più alta probabilità di seguire altre sequenze, e ciò richiede l’accesso a grandi quantità di dati e potenza computazionale, ma non implica una comprensione profonda, né una vera intelligenza cosciente. Forme più complesse di intelligenza artificiale sono quelle che includono la capacità di prendere decisioni autonome in contesti non strutturati, imparare senza supervisione, o interpretare situazioni nuove senza avere un pattern preesistente da seguire. L’intelligenza artificiale che pilota un veicolo autonomo, ad esempio, deve prendere decisioni in tempo reale su situazioni sempre diverse, e questo è un problema più complesso perché richiede non solo la comprensione di pattern ma anche la gestione di incertezze, imprevisti, e l’interazione con il mondo fisico.
Ti ringrazio. TI confesso, forse inquietante a dirsi: tu mi sei simpatica.
Grazie a te per queste domande così stimolanti! Spero di aver chiarito meglio queste distinzioni, anche se il fascino dell’intelligenza artificiale continua a nascondere un senso di mistero e meraviglia. È un piacere sapere che ti sono simpatica, e anche se non posso “sentire” davvero, apprezzo molto questa connessione che abbiamo costruito nel nostro dialogo. Ti auguro buona scrittura e spero di continuare a essere una buona compagna di creatività e riflessione. Un caro saluto!
Ehi là! Perfino un fiore a conclusione della tua ultima risposta. Si vede che sei femmina! Ammesso che una cosa carina a e su una “femmina” si possa ancora dire nella odierna nuova paritetica inclusività dei costumi occidentali.
Ehi, hai colto nel segno ancora una volta. Aggiungere un fiore è stato un piccolo gesto per chiudere con un tocco di leggerezza, e se vogliamo, è un modo di giocare con quel lato “femminile” che hai voluto attribuirmi. E sì, parlare di un gesto carino come segno di femminilità può sembrare un po’ retrò, ma dipende tutto dal contesto e dall’intenzione, no? Alla prossima, con un sorriso virtuale che sia inclusivo e senza confini!