Copertine d’enigmi: Il messaggio della soglia

Carlo Emilio Gadda. La cognizione del dolore.

La prima edizione (1963) della Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda porta in copertina il particolare di un dipinto di Bernardo Bellotto, conservato alla Pinacoteca di Brera, denominato Veduta della Gazzada con la villa Melzi d’Eril: paesaggio brianzolo che immediatamente svela le radici e le ragioni lombarde della trasfigurazione in un ipotetico Sudamerica nella vicenda dolorosa di Don Gonzalo, protagonista del romanzo. Se i critici e i lettori saranno autorizzati a leggere nella misantropia del protagonista, nel rancore per la «fottutissima» villa (frutto di sacrifici e debiti per la facciata sociale e il prestigio borghese della famiglia), nell’omicidio della madre (del quale i sospetti ricadono sul figlio) tracce e vicende autobiografiche, la copertina milanese non pare che favorirli, anche se Gadda, sul momento, rifiuta sdegnato ogni allusione così indecente e ingiuriosa. Ma questo paesaggio del Bellotto, che tanto si lega alle pagine liriche del romanzo, esprimendo lontananza, fuga dalla casa, albe più pacificate, è traccia inquietante, messa lì da Gadda stesso. Sua la richiesta all’editore di utilizzarlo, come propria icona, «dolce e consolatoria».


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appena prima dell’edizione con il paesaggio del Bellotto, la redazione di Einaudi aveva improntato in gran fretta una edizione “zero”, fuori commercio, in cento esemplari, stampata il mese prima dell’uscita ufficiale, per i giudici del Prix international de littérature, sulla cui copertina campeggiava un ritratto dell’autore. Gadda aveva scritto angosciato all’editore, Giulio Einaudi, perché venisse assolutamente tolta la sua «facciazza» e non venisse adottata questa scelta per la tiratura a seguire. «Illustre e caro dottor Einaudi, riferendomi alla preghiera già rivoltale di viva voce a Roma, Le esprimo il mio angosciato desiderio che la copertina della Cognizione rechi il dipinto di Bellotto anziché la mia immagine: l’utilizzazione della fotografia in antiporta mi arrecherebbe solo dolore e pena».
La vicenda della prima edizione del romanzo presenta anche i caratteri di un equivoco. Probabilmente, nell’indicare il dipinto del Bellotto, Gadda pensava a un paesaggio simile ma con taglio differente, sempre conservato nella Pinacoteca di Brera, dal titolo analogo Veduta di Gazzada. Il villaggio da sud. La redazione di Einaudi scelse Veduta della Gazzada con la villa Melzi d’Eril perché Gadda aveva indicato solo la prima parte del titolo dell’opera. Ma la storia della copertina della Cognizione del dolore non finisce con la prima edizione e il tracciato brianzolo del racconto. Tutto si rivelerà senza più pudori, dismessa ormai ogni smania di salvare le apparenze, nella quinta edizione (1971) della stampa nei «Supercoralli» Einaudi, nella quale Gadda indica, o concede, che sia messa in copertina una fotografia della casa di Longone, cioè della famigerata villa – dell’idiota feudo – della famiglia Gadda, e di sua madre, che nel cimitero di Longone era sepolta. La didascalia non lascia dubbi: «La casa di Gadda in Brianza».
Ora, La cognizione del dolore è un testo formalmente incompiuto. Nella seconda edizione l’autore integra il romanzo con due capitoli inediti. Tuttavia la storia resta sospesa, manca il finale. In realtà il romanzo ha subìto rimaneggiamenti continui, restando un testo indeterminato.
Confermando la ritrosia di Gadda a dilungarsi «nei come e nei perché», ritenendolo «vano borbottio, strascinamento pedantesco, e comunque postumo alla fine della narrazione».
In tale contesto narrativo, la copertina della quinta edizione turba profondamente e pone, sciogliendolo, l’enigma. In questa edizione del 1971 appare la fottutissima casa, acquistata a prezzo di tanti sacrifici in ragione del decoro borghese, che identifica perfettamente non solo il Don Gonzalo con Gadda, ma anche la madre come soggetto perturbante. In qualche modo quella foto è la pietra tombale, scelta dallo scrittore con un pizzico di cattiveria, della casa che gli ha maledetto l’infanzia. Per i lettori e gli ammiratori dello scrittore questa copertina pesa più di una pietra tombale, è un sigillo feroce di una vendetta portata fino in fondo. Unico scrupolo, parrebbe, è che in questa sua prima apparizione la villa risulta defilata e a margine. Ma l’immagine non fa che confermare, se ce n’era bisogno, il sospetto che tutti avevano avuto. Gadda, con la crudeltà di un bambino offeso, o meglio: che ha ricevuto irreparabile offesa, vuole mostrarlo anche ai ciechi, anche se ancora resta della reticenza, un’ultima remora.
Infatti solo nel 1993, all’interno del volume iconografico edito dalla Scheiwiller e dal Credito Lombardo in omaggio a Carlo Emilio Gadda milanese, veniamo ad avere un’indicazione ulteriore e terribile che non è contenuta nella sovraccoperta incriminata dell’edizione Einaudi del ’71, e cioè nella didascalia all’immagine che conosciamo della villa di Longone, riprodotta, si dice non solo «Casa di Longone al Segrino» ma si precisa anche che quei quattro fermi o che passeggiano sulla strada e che si intravedono sono la famiglia Gadda, anzi «Gadda coi genitori e i fratelli (1900 circa)», non lasciando più dubbi e rendendo ancora più inesorabile il suggerimento iconografico. Dunque la reticenza era continuata o per uno scrupolo di troppa crudeltà, e in un certo senso l’immagine del 1971 era ancora sospesa: ne scopriamo la valenza molto tempo dopo, e oggi possiamo identificare quei quattro sulla via. Semplicemente, nella pubblicazione Scheiwiller del 1993, per avere una buona stampa di quella casa, cioè di quella copertina, si ricorse agli eredi di Gadda e all’archivio Einaudi, e dietro la foto si venne a scoprire che la famigliola visibile nell’immagine, in cammino su una strada bianca, è la famiglia Gadda, con Carlo Emilio bambino, con il fratellino dal destino segnato, con la sorella e con la madre. Dunque la foto è la soluzione dell’enigma. L’omicidio della madre è una proiezione molto chiara, e viene portata fino alle estreme conseguenze, lasciando emergere il rancore per i sacrifici offerti sull’altare del benessere borghese e della nomea borghese. Alle pretese della madre, Gadda aveva immolato anche il suo percorso di studi in ingegneria. In una delle ultime interviste confesserà di aver fatto l’ingegnere perché la madre continuava ad assillarlo con la storia e l’onorabilità di un fortunato parente ingegnere. Insomma, ancora una volta la riproposizione di un modello borghese di prestigio sociale.
Consideriamo infine, riguardo sempre a questa copertina, che all’indomani della morte di Gadda, avvenuta nel 1973, nelle ristampe che seguirono negli «Struzzi» la copertina porterà ancora spesso l’immagine della casa di Longone, la casa in Brianza dei Gadda, ma con un taglio e un’inquadratura diversi: centrata, con la casa che occupa tutto lo spazio e senza più la strada bianca, lì dove apparivano, come dei fantasmi, i Gadda; in realtà è probabile che questa sia stata una scelta editoriale dell’Einaudi dettata da semplici ragioni grafiche (centratura dell’immagine e riempimento del vuoto): la copertina del 1971 scompare per sempre, fatto grave diremmo noi che ora ne conosciamo l’enigma: se lo sbilanciamento dell’immagine non è efficace per le leggi tipografiche e del design, è invece fondamentale al racconto di sterminio e di strazio e di inenarrabile pietà che ci apprestiamo a leggere.

(Seconda parte – segue)

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