Karl Marx muore a Londra il 14 agosto 1883, stroncato dalla tubercolosi.
“Sono arrivato alle 14.30, l’ora che egli preferiva per la visita” scrive Friedrich Engels ad Adolph Sorge, già segretario dell’Associazione internazionale dei lavoratori. “La casa era in lacrime, dicevano che sembrava vicino alla fine. (…) Dicevano si era verificata una piccola emorragia, seguita da un improvviso collasso. La nostra brava vecchia Lenchen, che lo ha curato come neanche una madre curerebbe il proprio bambino, è andata di sopra ed è poi ridiscesa. Ha detto che si era assopito e che io potevo salire. Quando siamo entrati, egli giaceva nel letto, addormentato, ma per non risvegliarsi mai più. Non c’erano più né polso né respiro. In due minuti era spirato, serenamente e senza dolore.” (L’ultimo Marx: 1881-1883, di Marcello Musto, Donzelli Editore, 2016)
L’amico prende dalla tasca della giacca le foto del padre, della moglie Jenny e di Jennychen. Quella della figlia si era aggiunta solo da qualche mese, quando la maggiore delle sue figlie era morta. Tre giorni dopo, poco prima della chiusura della cassa, Engels le disporrà con cura sul feretro.
Marx viene sepolto il 17 agosto nel settore dei “dannati”, ovvero degli atei, nel Cimitero di Highgate, accanto alla moglie. Sul numero dei partecipanti alla breve cerimonia di commiato esistono versioni discordanti. Da quello che sono riuscito a ricostruire erano presenti undici persone. I famigliari stretti: le due figlie Eleanor e Laura, i due generi Paul Lafargue (consorte di Laura) e Charles Longuet (marito della defunta Jennychen) e la “governante” Helene Demuth. Incerta è invece la presenza di Frederick Demuth, il figlio che Helene aveva avuto da una relazione con Marx. C’è Wilhelm Liebknecht, il fondatore del Partito Socialdemocratico tedesco che tiene un appassionato discorso nella sua lingua. Ci sono gli amici: Friedrich Lessner, già condannato a tre anni di carcere nel processo contro i militanti comunisti svoltosi a Colonia nel 1852; Georg Lochner, un vecchio membro della Lega comunista; Carl Schorlemmer, professore di chimica a Manchester, reduce dalla sfortunata rivolta di Baden del 1848. C’è poi Friedrich Engels, l’amico di sempre, l’uomo che ha sostenuto economicamente Marx e la sua famiglia per quasi quarant’anni e che ha condiviso con lui la buona e la cattiva sorte politica. Pronuncerà un breve ma intenso commiato in lingua inglese, dopo aver letto due telegrammi. Ad ultimo è presente E. Ray Lankester, giovane biologo evoluzionista, allievo di Darwin. Sulla presenza del conservatore E. Ray Lankester, “perfetto esemplare di rispettabilità britannica”, ha scritto un articolo Stephen Jay Gould (1941 – 2002), Il gentiluomo darwiniano al funerale di Marx. Gould (pur “incappando” in qualche inesattezza, come quella di considerare ancora in vita il giorno del funerale la moglie di Marx e di dimenticare la partecipazione di Helen Demuth) riesce a formulare una convincente ipotesi sulle ragioni, personali e non politiche, che hanno condotto Lankester sui viali del cimitero di Highgate.
Quando Marx muore, Il Capitale è tutt’altro che completo. Friedrich Engels impiega settimane a ritrovare i manoscritti dei libri II, III e IV nella moltitudine di lettere, di appunti, di quaderni, di progetti abbozzati e di opere inedite. La mole di carte raccolte in scatole o semplicemente tenute assieme con lo spago, la dice lunga sul metodo di lavoro. Marx considerava i suoi scritti e le sue ricerche in perenne movimento. Qualsiasi elemento nuovo come l’uscita di un libro, la lettura di un documento, l’arrivo di una lettera da uno dei suoi numerosissimi corrispondenti, potevano determinare cambiamenti, anche sostanziali, nei suoi scritti.
Gli interessi attorno alla pubblicazione postuma delle sue opere non tardano a manifestarsi. August Bebel, il segretario del Partito socialdemocratico tedesco, vorrebbe pubblicarli prima di tutto in Germania. Ma dovrà aspettare. Già nell’ottobre del 1883 Engels si rende conto di aver bisogno di aiuto per “decifrare” (Marx scriveva con grande foga e spesso appuntava intere frasi) ed ordinare la massa di fogli e quaderni che costituiscono i libri inediti di Il Capitale. Ad aiutare Engels sarà Karl Kautsky, “inviato” proprio da Bebel a Londra con il compito di “rimpatriare” appena possibile i manoscritti in Germania.
La pubblicazione postuma delle opere, iniziata nel 1885 con il secondo libro del Capitale, è densa di “tradimenti”! Il pensiero di Marx viene stravolto, sia pure per ragioni diverse, da Engels, da Kautsky e dalla figlia Eleanor. La teoria sociale, ovvero il materialismo storico, diviene nella presentazione di Engels una legge naturale della storia, ovvero, una legge immutabile. La dialettica materialista di cui aveva parlato Marx si trasforma, nella prefazione di Engels alle Tesi su Feuerbach, in materialismo dialettico. La differenza è sostanziale, perché la dialettica è un metodo, mentre il materialismo è filosofia. Dalla pubblicazione di due pamphlet polemici, Rivelazioni sulla storia diplomatica del XVIII secolo e Lord Palmerston, curati da Eleanor, vengono soppressi i passaggi antirussi per non “dispiacere” il nascente gruppo marxista russo, Liberazione dal lavoro, nato a Ginevra per opera di Georgij Plechanov.
Un testo divulgativo di Kautsky, santifica e stravolge alcuni passaggi fondamentali di Il Capitale. Le analisi in “divenire” vengono codificate, chiuse ed interpretate a partire dalle esigenze dei movimenti in Germania, in Russia e in Francia, che si ispirano al suo pensiero.
Proprio in questo adattamento sta il tradimento di Karl Marx. Là dove il metodo doveva restare al servizio della politica ne scaturisce una politica incapace di cogliere l’essenza del mondo perché asservita ad un metodo trasformato in legge definitiva e immutabile.
Gli entusiasmi di Marx per la possibilità di un crollo imminente del capitalismo sono noti. Ancora nel 1873, durante la crisi economica che colpisce gli Stati Uniti a seguito del fallimento della banca Jay Cook, si illude per qualche mese dell’imminenza dell’atteso crollo e, invece di continuare la stesura dei tomi successivi del Capitale, si preoccupa della riedizione del primo libro, poiché convinto che “l’economia politica (…) può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati”. Poi, superata l’ennesima delusione, torna a lavorare con foga alla sua opera incompleta.
Marx era convinto che il capitalismo fosse qualitativamente migliore rispetto ai sistemi di produzione precedenti. Allo stesso tempo era convinto della complessità e della tendenza insita nel capitalismo a svilupparsi su scala globale. Certamente lo considerava un sistema imperfetto, perché incapace di liberare lo sviluppo delle capacità umane, e ingiusto, poiché fondato sull’appropriazione del tempo dei produttori reali. Nel susseguirsi di entusiasmi e delusioni per l’atteso crollo del capitalismo, Marx amplia lo scenario di riferimento oltre l’Europa e gli Stati Uniti. Analizza l’economia agricola della Russia e getta lo sguardo sull’India e sulla Cina. Nel farlo raggiunge una consapevolezza che si rivela fondamentale per la rilettura post iconografica della sua opera.
Il capitalismo – questa è la visione di Marx – inizierà a collassare solo dopo essere divenuto globale, quando le nazioni, in quanto entità locali, vedranno venir meno il loro ruolo, quando la tecnologia sarà talmente sviluppata da trasformare l’organizzazione della vita sul pianeta.
Marx aveva previsto la tendenza alla globalizzazione del capitalismo, ma non che la dislocazione globale delle attività produttive avrebbe provocato la progressiva scomparsa della classe dei lavoratori nei paesi industrializzati
Jacques Attali, nel suo libro Karl Marx ovvero, lo spirito del mondo (2005), fa notare che se guardiamo al mondo nel suo complesso, quindi non solo all’Occidente, notiamo una progressiva tendenza della ricchezza a concentrarsi nelle mani di pochi e l’impoverimento di masse sempre più vaste. “Non si può sostenere – afferma Attali – che questi poveri non siano lavoratori, perché fanno parte della classe lavoratrice. Anche se si tratta di disoccupati, sono sempre lavoratori. E i lavoratori di concetto o i lavoratori informatici (dei paesi industrializzati), sono ancora lavoratori”.
Ma davvero è così?
Marx non avrebbe mai potuto prevedere la globalizzazione e la progressiva scomparsa dei lavoratori come classe nei paesi industrializzati, né avrebbe potuto intuire la capacità della tecnica di procedere nell’incremento indefinito della propria potenza.
Per dirla con Emanuele Severino: “La potenza della tecnica è diventata in effetti, o ha già incominciato a diventare”, lo scopo planetario fondamentale e primario. “E tale potenza – che è lo scopo che la tecnica possiede per sé stessa, indipendentemente da quelli che le si vorrebbero far assumere dall’esterno – non è qualcosa di statico, ma è indefinito potenziamento, incremento indefinito della capacita di realizzare scopi.”
Le trasformazioni sociali e culturali in atto nei paesi industrializzati e l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi, determinato dallo sviluppo della tecnica, hanno modificato lo stato delle cose. Non che siano scomparse imperfezioni e ingiustizie, ma l’indefinito potenziamento della tecnica su scala planetaria ha incrementato la capacità del sistema di mutare continuamente, di adattarsi e – in sintesi – di rinascere “migliore” dopo ogni crisi.
Lo spettro di Marx
- di Igor Patruno
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