Domenica sera
Mi vergogno di ammetterlo, ma sono costretto a farlo. È sano essere delatori di sé stessi. È insano non rivelare apertamente i propri limiti che nuocciono, indirettamente, al benessere inclusivo della società o, direttamente, alla spensieratezza impegnata di una conversazione responsabile da cena domenicale.
Tuttavia, mi auguro che mi venga riconosciuta l’attenuante della consapevolezza. Non miro in alto, ne convengo. Mi accontento di uno sfumato barlume di accondiscendenza che illumini tenue le tenebre in cui procede goffamente – e a tentoni – quel trentenne deprecabile che viene convenzionalmente chiamato con un nome non scelto da lui, Lorenzo, e da un cognome, Rossi, automaticamente maschilista perché cancella quello materno.
Confesso – ma non a mo’ di scusante – che il giallo cadmio che ci accerchiava ottundeva non solo la mente ma anche il senso morale, produceva un’azione devastante non dissimile a quella di un alcolico di qualità scadente scolato con una disattenzione studiata.
Ma perché ho parlato al plurale? Perché eravamo in quattro là da Mac: Lucy, Giulia, Michelangelo ed io.
Eravamo seduti presso a un seriale tavolo giallo cadmio, accalcato a una sottile parete di compensato giallo cadmio, sopra a delle scomode sedie antracite (simili a sgabelli su cui erano stati aggiunti degli schienali posticci) a loro volta collocate su un pavimento a liste giallo cadmio. Un lampadario ovoidale di plastica color giallo cadmio pendeva minaccioso sulle teste e illuminava violento i quattro vassoi – adagiati sopra a un tavolo giallo cadmio – che ospitavano Cheeseburger, Big Mac, Chicken McNuggets, Insalate in ciotole usa e getta, le inevitabili Patatine Fritte, e dei bicchieri di carta che accoglievano, senza cannucce né entusiasmo, Coca Cola, Sprite, Fanta e Lipton Ice Tea al limone. Una musica ipnotica, che ripeteva a loop delle modulazioni ritmiche pseudo caraibiche, contrastava malamente con la fragranza di olio fritto e di detersivo anallergico che dava un tocco di riservatezza olfattiva chiassosamente standardizzata. Il chiacchiericcio incomprensibile di coppie variegate, il vocio molesto dei bambini giallo cadmio, il brontolio vitale di gruppi familistici non identificabili, lo strusciare delle sneakers – gradevole come lo stridio del gesso sulla lavagna – ogni tanto si degradavano in limpide bestemmie di gioia pronunciate a turno da due adolescenti in t-shirt per i tre goal di Lautaro Martínez.
«Guardali come gioiscono da bravi ebeti decerebrati!» commentò Lucy con stizza, detergendosi le labbra sporche di maionese con il dorso della mano, mentre risplendevano sottili fili di carne bovina tra gli interstizi degli incisivi. I capelli grigi imponevano l’approvazione della serietà inclusiva. La sciarpa vintage testimoniava la sincerità di ogni atteggiamento.
«E intanto l’asse di rotazione terrestre si sposta e a quei due non frega niente. Le donne in Italia vengono uccise a dozzine ogni giorno e quei due saranno forse i patriarchi assetati di sangue del futuro prossimo. I bambini palestinesi vengono trucidati dai nazisti israeliani e quei due festeggiano per un pallone che s’infila in una rete» chiosò indignato Michelangelo, intervallando parole a sorsate di aranciata, tutto attento ad evitare ogni inflessione eccessivamente virile nella voce da basso profondo e a celare il fisico tonico sotto alla slabbrata felpa viola dell’associazione.
«È tutto vero, Michelangelo, come darti torto… Però pensavo che dovremmo allargare i nostri interessi. Voglio dire, avete sentito che in Myanmar, nonostante il terremoto, il governo fascista continua a bombardare le comunità dei ribelli?… Falsificazioni giornalistiche?… Forse. Ma tu, Giulia, ti ricordi che la scorsa estate a Nuova Delhi abbiamo visto due ventenni morti per strada, già preda delle mosche, in mezzo all’indifferenza dei passanti? Ti ricordi di quel bambino denutrito che trascinava un carro pieno di cianfrusaglie? Ti ricordi di quelle madri scheletriche che ci assalivano, mentre eravamo sui tuk-tuk, con i figli di un mese in braccio per elemosinare un pugno di rupie? Ti ricordi di quel ragazzo senza braccia che dormiva per strada davanti al nostro albergo che una mattina trovammo riverso sul marciapiede lurido con il volto deturpato dal sangue rappreso? E le autorità indiane non permettono l’adozione alle coppie fertili… Vi rendete conto! Cosa facciamo noi per i dannati della terra, per tutti i dalit del mondo?».
Cambiare argomento significa svalutare gli ideali per i quali si combatte, lo so. Significa indebolire e quasi ridicolizzare ogni forma di lotta inclusiva ed ecologica, lo so. Ma io, misero come sono, dimostrai in meno di un minuto tutta la mia nocività. E non solo. Dimostrai anche la mia indelicatezza, la mia intempestività troglodita.
Il fervore da prassi della serata giallo cadmio e le conseguenti rivendicazioni ecologiste, comuniste, transfemministe e stomacali insorsero contro di me e furono sintetizzate dalla constatazione stizzita di Giulia, in armonia cromatica con il rosso vivo del ketchup racchiuso nel Big Mac: «Lorenzo, per favore, stiamo mangiando…».