Il ragazzo dalle suole di vento…

“Si, ho gli occhi chiusi alla vostra luce. Io sono una bestia, un negro. Ma posso essere salvato. Siete dei falsi negri, voi maniaci, feroci, avari. Mercante, tu sei negro; magistrato, tu sei negro: generale, tu sei negro; imperatore vecchia piaga, tu hai bevuto un liquore di contrabbando; della fabbrica di Satana. – Questo popolo è ispirato dalla febbre e dal cancro. Gli infermi e i vecchi sono tanto rispettabili, che richiedono di essere bolliti. – La cosa più astuta è lasciare questo continente in cui la follia si aggira per provvedere di ostaggi quei miserabili. Entro nel vero regno dei figli di Cam… “

Il brano è tratto dal poema in prosa, Una stagione all’inferno, unica opera pubblicata da Arthur Rimbaud. Era il 1873, anno denso di accadimenti per il poeta, tra cui la relazione tumultuosa con Paul Verlaine. I due vissero insieme in Inghilterra e in Belgio, tra continui dissapori, fino al tragico epilogo: un Verlaine, ubriaco ed esasperato, sparò due colpi di pistola, ferendo Rimbaud al braccio. Questo gesto impulsivo costò a Verlaine due anni di prigione. Nello stesso anno, Rimbaud, tornato dalla sua famiglia, iniziò a scrivere. La sua prima opera, Una stagione all’inferno, fu stampata in parte a sue spese, poi dimenticata nel totale disinteresse dell’autore. A parte alcune copie distribuite agli amici, le restanti, non pagate, rimasero a lungo negli scantinati della tipografia. Il giovane poeta era decisamente un tipo fuori dagli schemi. Nella sua produzione poetica, caratterizzata da un linguaggio innovativo, esaltava sentimenti profondamente oscuri e identità alienate. Le sue metafore di estraneità e di ribellione, indicavano insofferenza e voglia di spezzare i dogmi imposti dalla società. Il poeta ardeva nel desiderio di esplorare nuove forme di comunicazione e di vita, sfidando le convenzioni e immergendosi nelle profondità dell’anima alla ricerca di una nuova poesia. La sete di libertà lo spinse lontano. 

Nel 1880 Rimbaud lasciò la Francia per l’ennesima volta e intraprese un viaggio che lo condusse verso una miriadi di destinazioni, fino a raggiungere l’Africa.

Con l’apertura del Canale di Suez nel 1869, Aden, città a sud dello Yemen, era diventata un importante crocevia tra Asia ed Europa, Qui, Rimbaud trovò lavoro nella gestione di attività commerciali per conto di una compagnia francese, prima di trasferirsi in Etiopia, sugli altipiani della città di Harar, dove quasi un secolo e mezzo dopo il nome del “poeta maledetto” ancora riecheggia tra viuzze di sabbia e quartieri antichi.

Harar è diventata meta di pellegrinaggio per poeti e studiosi di Rimbaud. Qui tra il 1880 e il 1891, il poeta francese trascorse gran parte della sua vita di avventuriero e mercante. Qui scrisse le sue ultime lettere, prima di morire a Marsiglia all’età di trentasette anni. La via centrale, chiamata Charleville, rende omaggio al paese d’origine del poeta. Attratto da questi luoghi per ragioni commerciali e culturali, Rimbaud trovò un fiorente mercato, dove commerciava in armi, caffè, pelli e avorio. Scoprì una civiltà raffinata e tollerante, stringendo amicizie con i notabili locali. Imparò l’amarico, l’arabo e il ge’ez, la lingua liturgica dei cristiani d’Etiopia, e si dedicò alla lettura dei libri sacri e delle poesie sufi.

Un anziano religioso francese, ha conservato lettere, documenti, fotografie e mappe in un  baule. Ha vissuto a lungo nella diocesi di Harar, senza mai smettere di cercare informazioni su Arthur Rimbaud. La sua voce vacilla per l’emozione, quando racconta di aver scoperto la vera casa dove il poeta francese trascorse i suoi ultimi anni in Africa. Secondo la sua ricostruzione, la vera casa non è quella dove ora c’è il museo dedicato a Rimbaud, ma si trovava nel “quartiere greco”. Tira fuori dal baule una foto della “possibile” casa, demolita negli anni ’60 per far posto a un edificio moderno. Nel corso degli anni, l’anziano frate ha raccolto testimonianze di persone che avevano avuto contatti con il poeta, descritto come un uomo gentile e generoso. Si dice che abbia avuto una storia con una donna abissina, di cui però non si conosce il nome, e forse anche dei figli.

Rispettoso di costumi e credenze locali, frequentava le loro feste e i loro riti. Partecipava alla caccia alle iene, che ancora oggi di notte vagano intorno ai bastioni della città in cerca di cibo. Rimbaud fu tra i primi a descrivere Harar con precisione e ammirazione. Inviava ai suoi amici resoconti dettagliati e schizzi, a testimoniare l’attaccamento alla terra dove aveva trovato una seconda patria. Una scelta che lo rese felice, ma lo allontanò dalla fama e dal riconoscimento letterario. Solo dopo la sua morte, nel 1891, la sua produzione poetica, di breve respiro, venne raccolta e infine pubblicata dall’amico Paul Verlaine.

OPERE DI ARTHUR RIMBAUD: Il battello ebbro, Lettere del veggente, Una stagione all’inferno. Dopo la raccolta Illuminazioni, pubblicata nel 1886, Rimbaud abbandona la poesia.

In copertina: la camera da letto di Arthur Rimbaud, nella casa museo di Harar. Foto di Luigia Spadano

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